Smart working, fine del regime semplificato: cosa cambia?
L’avvento della pandemia da Covid-19 ha rappresentato, per le aziende e il mondo del lavoro, un vero e proprio terremoto. Molte imprese hanno dovuto ripensare la loro struttura organizzativa, i processi produttivi, i sistemi di comunicazione e gli spazi lavorativi per adeguarsi alle nuove esigenze dettate da uno scenario socio-economico improvvisamente mutato. L’impiego delle tecnologie digitali ha sicuramente agevolato questa trasformazione, contribuendo a tracciare la direzione verso cui la gran parte delle organizzazioni si sono orientate.
Ci stiamo muovendo verso un nuovo sistema di lavorare e produrre, più agile e flessibile, svincolato da molti dei paletti che caratterizzavano il modo “classico” di intendere il lavoro.
Chiariamo, però, subito un punto: quello che le imprese hanno adottato fin ad ora, da un punto di vista tecnico-giuridico, non è stato lo smart working ma il remote working, cioè il lavoro da remoto. In sostanza, grazie all’introduzione del regime semplificato, è stato consentito a molti dipendenti di lavorare da casa: l’unico obbligo è stato quello di comunicare per via telematica al Ministero del Lavoro i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile. Così, messe davanti all’emergenza, molte imprese hanno adottato il lavoro da remoto, di fatto adeguandosi a una normativa già presente dal 2017, e questo ha finito per evidenziare i grandi benefici che questa modalità di lavoro comporta, sia per i dipendenti sia per i datori di lavoro. Ora, però, ci troviamo di fronte un’altra sfida: la sfida dello smart working propriamente detto.
Lo smart working è una cosa diversa dal semplice remote working in quanto prevede una nuova organizzazione aziendale, basata sull’alternanza tra lavoro in presenza e lavoro a distanza.
Come sappiamo, per quanto riguarda la fine del regime semplificato, la scadenza del 30 giugno è stata prorogata al 31 agosto: ciò significa che le aziende che vogliono adottare lo smart working a tutti gli effetti hanno tempo fino a fine agosto per riorganizzarsi internamente in modo da implementare in maniera fruttuosa ed efficiente questa nuova modalità di lavoro e poi, a partire dal 1° settembre, dovranno stipulare degli accordi individuali con i dipendenti interessati per stabilirne diritti e doveri. In estrema sintesi, il lavoratore avrà la possibilità di lavorare per alcuni giorni a settimana da remoto, e potrà farlo dove meglio crede (rispettando ovviamente le norme relative alla sicurezza), e dovrà garantire alcuni giorni a settimana di lavoro in presenza.
Chiaramente l’obiettivo sarà quello di individuare il giusto match tra l’esigenza di controllo e di verifica del lavoro da parte del datore, da una parte, e la necessità del lavoratore di disconnettersi, dall’altra.
Perché non dobbiamo dimenticare che la finalità principale dello smart working, riconosciuta già nella normativa del 2017, è garantire al lavoratore la possibilità di conciliare al meglio vita e lavoro. Ma siamo pronti per accogliere questa sfida? Dalla mia esperienza posso dire che le grandi organizzazioni, soprattutto quelle a carattere internazionale, hanno già abbracciato questa trasformazione, intuendo tutti i vantaggi in termini di saving, quindi di risparmio ma anche di agilità organizzativa, e si sono già attrezzate di conseguenza per impiegare al meglio lo smart working. Diverso il discorso se guardiamo, invece, alla piccola impresa, dove la resistenza al cambiamento è forte e, dopo l’accelerata improvvisa generata dalla pandemia, si registra oggi un ritorno ai modi di lavorare più tradizionali. Spesso si tende, infatti, ad associare istintivamente lo smart working a una perdita di produttività anche se nei fatti non c’è alcuna connessione diretta.
Non c’è una connessione diretta tra smart working e perdita di produttività. Dipende tutto da come lo smart working viene organizzato, formalizzato e implementato all’interno di un’organizzazione.
Quindi io credo che anche per la piccola e media impresa lo smart working possa rappresentare un’opportunità: un’opportunità indubbia sul piano del risparmio, ma un’opportunità anche sul piano dell’ammodernamento dei sistemi e dei processi di lavoro, con potenziali benefici sul benessere dei lavoratori e anche sulla produttività dell’impresa. Ma ovviamente tra il dire e il fare c’è di mezzo la pianificazione, la riorganizzazione aziendale e la contrattazione. Senza la definizione di strategie aziendali solide e ponderate, e accordi con i lavoratori chiari e ben strutturati, l’introduzione dello smart working non potrà produrre i risultati sperati.